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Il sistema sanitario sardo va ripensato partendo dai territori

La Sanità sarda versa in una condizione drammatica che va peggiorando di giorno in giorno. Operatori sanitari e medici sono in grandissima difficoltà e migrano negli ospedali del resto d’Italia o addirittura all’estero, dove trovano condizioni professionali e di vita migliori.
Lo stesso vale per la popolazione che non ha fiducia nelle cure erogate nell’isola e compie i viaggi della speranza per provare a ricevere assistenza. Questo accade se il paziente e la sua famiglia sono in grado economicamente e logisticamente di sostenere un viaggio per dare risposte a una patologia, diversamente i report ci dicono che si rinuncia alle cure. Una situazione aberrante.
I numeri ci dicono ancora che la popolazione sarda è sempre più anziana, i paesi mal collegati tra loro e soprattutto i presidi territoriali assenti.
Una sanità che è stata dunque depauperata dei servizi di primissima assistenza: guardie mediche, medico di famiglia e analisi ordinarie. Non si può pensare di riversare tutti negli ospedali e pretendere poi che gli ospedali funzionino. Non si può pensare di far percorrere km ai cittadini per un servizio basico, o costringere una partoriente a viaggiare in condizioni precarie, strade ghiacciate, o addirittura come è successo, in nave o in elicottero, dalle isole minori.
Dobbiamo ripensare tutto il sistema sanitario partendo dai territori, dando maggiore centralità alle Asl e mettendole in rete. Questo sarà possibile farlo grazie al recupero del ruolo degli enti locali nell’organizzazione della sanità, poiché ciascun comune conosce le necessità del territorio ed è in grado di declinarle con politiche assistenziali mirate.

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